La rapida traduzione è necessaria per consolidare la memoria
DIANE RICHMOND
NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 08 febbraio 2020.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
È nozione neurobiologica classica che il
consolidamento delle memorie richieda sintesi proteica nuova e specifica, ma per
la comprensione di questo processo è necessario dare risposta ad alcuni
importanti interrogativi. I modelli di studio attuali di blocco della
traduzione dei messaggeri RNA mancano di precisione spaziotemporale e di
specificità per il tipo cellulare, non consentendo, pertanto, di individuare il
particolare contributo di nuova sintesi proteica da parte di un singolo tipo di
neurone implicato.
Prerana Shrestha, Pinar Ayata e colleghi coordinati da Eric Klann,
con il contributo di Joseph E. LeDoux, massimo
esperto del ruolo dell’amigdala nelle memorie della paura, hanno sviluppato un
approccio combinato – knock-in nel topo e chemogenetico
– per l’inibizione della sintesi proteica specifica per tipo cellulare e
inducibile mediante farmaco. I risultati ottenuti con questo metodo sono di
notevole interesse.
(Shrestha P., et al.
Cell-type-specific drug-inducible
protein synthesis inhibition demonstrates that memory consolidation requires
rapid neuronal translation. Nature Neuroscience – Epub ahead of print doi: 10.1038/s41593-019-0568-z, 2020).
La provenienza
degli autori è la seguente: Center for Neural Science, New York University,
New York, NY (USA); HHMI Laboratory for Molecular Biology, The Rockefeller
University, New York, NY (USA).
Lo studio qui recensito può considerarsi nel solco di quella straordinaria
avventura sperimentale, cominciata oltre cinquant’anni fa, che ha individuato i
meccanismi molecolari di base dei processi mnemonici elementari, conservati
nell’evoluzione dalle specie più semplici fino all’uomo.
Un passo molto importante fu comprendere che l’AMP-ciclico, noto allora
come regolatore di segnali all’interno delle cellule muscolari e adipose, era
implicato nella formazione della memoria a breve termine. Eric Kandel e Jimmy Schwartz
ipotizzarono l’intervento di questa molecola per la prima volta in un articolo
apparso sul Journal of Neurophysiology nel
1971; articolo che risentiva delle scoperte di Earl Sutherland, autore della
teoria del secondo messaggero, costituito appunto dall’AMP-ciclico, nella
trasmissione del segnale.
Sutherland aveva scoperto una nuova classe di recettori per gli ormoni, disposti
sulla superficie di cellule adipose e muscolari. Queste proteine recettoriali
di nuova identificazione, denominate recettori metabotropici, presentavano
una regione sporgente sulla superficie esterna della membrana cellulare, che
riconosceva i segnali inviati da altre cellule, e una regione interna che
attivava l’adenilato ciclasi (o adenil ciclasi o adenilil ciclasi). La
scoperta della funzione di amplificazione del segnale aveva avuto una notevole
importanza: quando un messaggero si lega al recettore metabotropico
all’esterno della cellula, al suo interno l’adenilato ciclasi produce un
migliaio di molecole di AMP-ciclico, ciascuna delle quali si lega a proteine
chiave che innescano una serie di risposte molecolari in tutta la cellula. L’attività
dell’enzima dura da alcuni secondi a vari minuti, dando luogo ad una risposta
più incisiva, estesa e persistente di quella dei canali ionici[1]. In termini di durata temporale, l’azione
metabotropica è da 1.000 a 10.000 volte maggiore.
Sutherland definì la molecola che si lega al recettore metabotropico
«primo messaggero» e l’AMP-ciclico attivato all’interno della cellula «secondo
messaggero», e ipotizzò che il secondo messaggero veicolando il segnale all’interno
desse avvio alla risposta della cellula intera[2].
Questo profilo di attività suggerì a Kandel e Schwartz la possibilità che i
recettori metabotropici e l’AMP-ciclico potessero essere implicati nella
memoria a breve termine. I due ricercatori lavoravano sul mollusco Aplysia
californica in cui si ha la paradigmatica distinzione fra circuiti
mediatori, responsabili di un comportamento, e circuiti modulatori,
che regolano la forza delle connessioni sinaptiche dei circuiti mediatori. Kandel
e Schwartz avevano scoperto che un semplice apprendimento motorio in Aplysia
comportava una specifica modulazione del circuito mediatore da parte di neuroni
modulatori inibitori che, sorprendentemente, rilasciavano serotonina,
anziché trasmettitori inibitori come GABA e glicina, tipici dei vertebrati e
dei mammiferi in particolare. La serotonina, rilasciata dal neurone modulatore,
risultava in grado di accrescere il rilascio di glutammato del neurone sensoriale,
verosimilmente attraverso una successione di reazioni allora ignote.
La sequenza ipotetica di passi biochimici doveva ottenere due scopi
fondamentali: 1) tradurre la breve azione sinaptica della serotonina in
molecole i cui segnali sarebbero dovuti durare alcuni minuti
all’interno del neurone sensoriale; 2) queste molecole avrebbero dovuto
trasmettere dei segnali dal sito di azione della serotonina sulla membrana
cellulare all’interno del neurone fino alla terminazione sinaptica che rilascia
glutammato.
Il sistema “recettore metabotropico-AMP-ciclico”
sembrava perfetto per svolgere questi due compiti.
Intanto, Ed Krebs aveva scoperto che l’AMP-ciclico si lega a un enzima che
lui aveva denominato proteinchinasi AMP-ciclico-dipendente o proteinchinasi
A, volendo indicare con la prima lettera dell’alfabeto che si trattava
della prima proteinchinasi scoperta. Le chinasi, come
è noto, aggiungono ai polipeptidi una molecola di fosfato: la fosforilazione
attiva alcune proteine e ne disattiva altre. Krebs scoprì anche che la
fosforilazione è rapidamente reversibile, e quindi si tratta di un processo che
può fungere da interruttore molecolare, accendendo o spegnando l’attività di un
enzima.
Le scoperte di Sutherland e Krebs suscitarono l’interesse di Arvid Carlsson[3] e di Paul Greengard[4] che presto unirono le loro sorti
nel lavoro sperimentale a quelle di Eric Kandel, in un percorso che li avrebbe
portati a condividere nel 2000 il Premio Nobel per la medicina per gli studi
sulla trasduzione del segnale nel sistema nervoso.
La prima conferma dell’intervento dell’AMP-ciclico nella formazione della
memoria a breve termine venne nel 1976 dagli esperimenti di Marcello Brunelli
nel laboratorio di Kandel. La collaborazione di Schwartz e Kandel con Greengard produsse gli esperimenti decisivi per accertare che
l’azione dell’AMP-ciclico era esercitata attraverso la proteinchinasi A: le due
molecole risultarono necessarie e sufficienti per rafforzare le connessioni fra
neuroni sensoriali e motoneuroni.
In tal modo erano state stabilite le prime due tappe della serie di eventi biochimici
che permette la conservazione temporanea di un’esperienza.
Gli interrogativi principali, però, erano ancora senza risposta: in che
modo la serotonina e il suo secondo messaggero inducono il potenziale sinaptico
lento, che Kandel aveva registrato come correlato della memoria di Aplysia per
le scosse alla coda? In che modo questo potenziale sinaptico determina un
maggiore rilascio di glutammato?
Nel 1980 Kandel conobbe a Parigi presso il Collège
de France il giovane biofisico Steven Siegelbaum, specializzato
nello studio delle proprietà dei singoli canali ionici, e lo invitò a
collaborare. Siegelbaum scoprì che uno dei bersagli di
AMP-ciclico e proteinchinasi A era un canale ionico del potassio dei neuroni
sensoriali, reagente alla serotonina. Il nuovo canale del K+ fu denominato
“S”, formalmente da “serotonina”, ma, come ha rivelato lo stesso Eric Kandel, la
lettera è anche l’iniziale del nome e del cognome del suo scopritore[5].
Quando il neurone non è stimolato, il canale “S” è aperto e contribuisce al
potenziale di membrana a riposo della cellula. Siegelbaum
scoprì che il canale è presente nelle terminazioni presinaptiche e che si
poteva indurlo a chiudersi applicando all’esterno della membrana la serotonina
o, all’interno, AMP-ciclico o proteinchinasi A. La chiusura di questo canale del
K+ causa il potenziale sinaptico lento e induce l’aumentato rilascio
di glutammato[6].
Kandel con Goelet e altri collaboratori affronta
il problema dei meccanismi della memoria a lungo termine all’indomani
della scoperta che questa forma di conservazione della traccia neurale dell’esperienza
richiede lo sviluppo di nuove connessioni sinaptiche. I ricercatori prendono le
mosse dal modello di Jacob e Monod, secondo cui
segnali provenienti dall’ambiente attivano le proteine regolatrici che attivano
i geni, e si chiedono se durante la sensibilizzazione, la fase cruciale nell’avvio
del processo di trasformazione della memoria da breve a lunga non comporti l’invio
di segnali al nucleo per l’attivazione di geni regolatori, codificanti proteine
regolatrici in grado di attivare geni effettori responsabili dello sviluppo di
nuove connessioni sinaptiche.
Questa ipotesi di Kandel e colleghi forniva una spiegazione genetica alla
scoperta che se si blocca la sintesi di nuove proteine durante un periodo
critico – ossia nel corso dell’apprendimento o poco dopo – si blocca la
crescita delle connessioni sinaptiche e la conversione della memoria da breve a
lungo termine. Bloccare la sintesi proteica significava impedire l’espressione
di geni che innescano la produzione di nuove proteine necessarie per la
crescita sinaptica e l’immagazzinamento durevole[7].
Una sintesi delle ipotesi di lavoro per cercare di individuare il segnale
inviato dalle sinapsi al nucleo per la conversione della memoria, il gruppo di
Kandel la fornì in un articolo pubblicato su Nature nel 1986[8].
Collaborando con Roger Tsien, i ricercatori
rilevarono che gli impulsi ripetuti di serotonina facevano crescere l’AMP-ciclico
molto più di quanto accadeva nella formazione della memoria a breve termine e,
soprattutto, inducevano la proteinchinasi A a spostarsi
nel nucleo dove poteva attivare dei geni. Successivamente, si scoprì che la
proteinchinasi A si avvale della MAP chinasi, un
altro enzima associato allo sviluppo di sinapsi e in grado di migrare nel
nucleo.
Il passo seguente della ricerca consentì di scoprire che la proteinchinasi
A rende attiva la proteina regolatrice CREB (cyclic
AMP response element-binding),
fosforilandola.
A questo punto, cominciava a delinearsi un simile quadro: la serotonina
agisce sul neurone sensoriale innalzando l’AMP-ciclico e inducendo
proteinchinasi A e MAP chinasi a trasferirsi nel
nucleo per attivare CREB, che determina l’espressione dei geni dalla quale
originano i cambiamenti morfologici e funzionali dei neuroni associati con la
memoria di lunga durata.
Nel 1995 Bartsch scoprì l’esistenza di due forme
di CREB: CREB1, che attiva l’espressione genica, e CREB2, che la sopprime.
Nell’insieme, le due forme agiscono accendendo e spegnendo un pattern
genetico che determina la conservazione di uno stato funzionale. La
sperimentazione ha poi accertato che le azioni opposte delle due forme di CREB
determinano una soglia per l’immagazzinamento mnemonico[9].
Come i meccanismi della memoria a breve termine, l’interruttore
molecolare della memoria a lungo termine, costituito da CREB, è
risultato essere lo stesso in tutte le specie animali studiate[10].
Questo breve excursus sulle principali tappe della scoperta dei meccanismi
molecolari della memoria si ferma alle soglie del terzo millennio, quando comincia
l’era recente con la scoperta da parte di Kausik di
una nuova forma della proteina CPEB (cytoplasmic
polyadenylation element-binding),
che si rivela essere un prione, presente solo nel sistema nervoso e richiesta
nelle sinapsi attivate per mantenere la sintesi proteica e consentire lo
sviluppo di nuove giunzioni[11].
Torniamo ora al lavoro di Prerana Shresta, Pinar Ayata, Joseph E. LeDoux e
colleghi che, verificati i limiti dei metodi attuali di blocco della traduzione
per accertare il contributo delle singole cellule alla sintesi proteica richiesta
per la memoria a lungo termine, hanno messo a punto una nuova procedura. In
particolare, i ricercatori hanno sviluppato un approccio combinato knock-in
nel topo e chemogenetico per inibire la sintesi
proteica in un modo specifico per tipo cellulare e inducibile mediante farmaco.
Con questo metodo si ottiene una rapida e reversibile fosforilazione del
fattore eucariotico 2α (eukaryotic initiation factor 2α),
che porta all’inibizione della traduzione generale del 50% in vivo.
I ricercatori hanno impiegato questo sistema selettivo inducibile di inibizione
della sintesi proteica per dimostrare che l’inibizione della sintesi proteica
pan-neuronica e nei neuroni eccitatori dell’amigdala laterale (LA, da lateral amigdala) compromette la memoria a
lungo termine. La memoria persa poteva essere ripristinata mediante l’attivazione
chemogenetica artificiale dei neuroni della LA;
sebbene questo recupero avvenisse al costo della generalizzazione dello
stimolo.
Per converso, la riduzione genetica della fosforilazione del fattore eucariotico
2α nei neuroni eccitatori dei nuclei dell’amigdala laterale accresceva la
forza della memoria, pur riducendo fedeltà mnemonica e flessibilità
comportamentale.
I risultati dello studio, nel loro insieme, dimostrano l’esistenza di un
programma di traduzione specifico per tipo cellulare durante il consolidamento
delle memorie e, in particolare, delle memorie per stimoli o eventi minacciosi.
L’autrice
della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la
collaborazione nella stesura del testo e invita alla
lettura delle recensioni di studi di
argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare
il motore interno nella pagina “CERCA”).
Diane
Richmond
BM&L-08 febbraio 2020
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Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] In precedenza, Bernard Katz
aveva scoperto i recettori ionotropici o “recettori
dipendenti dal trasmettitore”, nei quali si ha, per effetto del legame con la
molecola di segnalazione, l’apertura o la chiusura di un canale ionico posto
all’interno del recettore stesso. La durata dell’azione su questi recettori è
dell’ordine dei millisecondi.
[2] Eric R. Kandel, Alla ricerca
della memoria – La storia di una nuova scienza della mente, p. 211, Codice
Edizioni (Torino) e Le Scienze, Roma 2008.
[3] Arvid
Carlsson nel 1958 aveva individuato il ruolo
di neurotrasmettitore della dopamina e poi aveva dimostrato che il deficit di
dopamina encefalica nel coniglio causa una sindrome che assomiglia alla
malattia di Parkinson umana.
[4] Paul Greengard
nel 1970 cominciò a studiare i recettori metabotropici nel cervello dei topi,
partendo da un recettore della dopamina, e scoprì che questo recettore stimola
un enzima che incrementa AMP-ciclico e proteinchinasi A.
[5] Eric R. Kandel, op. cit., p. 214.
[6] Siegelbaum
S., et al. Serotonin and cAMP close single K+ channel
in Aplysia sensory neurons. Nature 299: 413-417, 1982.
[7]
Goelet P. & Kandel E. R. Tracking the flow of
learned information from membrane receptors to genome. Trends in Neuroscience
9: 472-479, 1986.
[8]
Goelet P. et al. The long and short of
long-term memory – a molecular framework. Nature 322: 419-422,
1986.
[9] Cfr. Eric Kandel, op. cit., pp. 246-247.
[10] Tim Tully
e Jerry Yin dimostrarono il ruolo delle proteine CREB nella memoria a lungo
termine di Drosophila melanogaster. Successivamente,
l’interruttore molecolare CREB della memoria a lungo termine è stato scoperto
nelle api, nei topi e nell’uomo, in relazione alla formazione di memorie
implicite.
[11] La forma inattiva di CPEB si
trasforma in quella attiva auto-propagantesi come un prione per effetto della
serotonina che controlla la conversione della memoria a breve termine in
memoria a lungo temine. Kandel ricorda quando Kausik
gli espose la sua idea: il meccanismo prionico dell’auto-propagazione
di CPEB avrebbe potuto spiegare il mantenimento indefinito di una memoria
nonostante la continua degradazione delle proteine e il loro ricambio (cfr. Eric
Kandel, op. cit., pp. 252-255).